Un cuor solo, un’anima sola

Un cuor solo, un’anima sola

Lettera alla Diocesi anno pastorale 2022-23  Scarica la lettera

 

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa che è in Reggio Emilia-Guastalla,

con questa mia prima lettera vorrei rivolgermi a voi per condividere alcune mie riflessioni maturate negli incontri di questi mesi. Non vuole essere una lettera pastorale, quanto piuttosto un’indicazione di alcuni spunti spirituali per il cammino di quest’anno.

Sono stati giorni e settimane intense, dove ho potuto constatare di persona la vitalità e la varietà di doni di cui è ricca e ricolma la nostra Chiesa. Una tradizione spirituale ed ecclesiale che nel corso degli anni si è accresciuta e impreziosita di iniziative pastorali in numerosi ambiti della vita, tanto da essere un punto di riferimento, non solo per i credenti ma anche per tutta la popolazione di Reggio Emilia-Guastalla.

A fronte di questa indubbia e consolante vivacità, di cui bisogna essere sanamente fieri, non mancano situazioni di fatica e di preoccupazione che – a dire il vero – sono comuni a tante comunità diocesane del nostro paese e, si può dire, della Chiesa universale.

L’elenco di tali difficoltà potrebbe essere lungo: sia sufficiente ricordare la diminuzione di presbiteri e religiosi/e, con evidenti ricadute sulle opere educative e caritative e una pervasiva secolarizzazione, con il conseguente drastico calo della partecipazione attiva alla vita delle comunità, accentuata e resa ancor più evidente dalla pandemia.

Le strutture parrocchiali – oratori, scuole dell’infanzia, case di riposo e attività ricreative – che un tempo avevano costituito un efficace volano a servizio dell’annuncio e dell’evangelizzazione, sono diventate – spesso – un peso oneroso da gestire o anche solo da conservare.

Negli anni passati la Diocesi ha affrontato una seria e ponderata riflessione per ripensa- re e rimodulare la sua presenza sul territorio

che ha portato a una riduzione del nume- ro dei Vicariati e la promozione delle Unità Pastorali. È stata una prima significativa risposta al cambiamento di scenario ecclesiale e sociale nel quale siamo immersi ormai da anni. Un tassello altrettanto importante è sta- to il lavoro di trasformazione e di conversione che ha coinvolto gli uffici della Curia per essere più efficacemente a servizio del territorio e delle unità pastorali.

Un grazie di cuore a tutti coloro che si sono adoperati per aiutare le nostre comunità a non fermarsi a rimpiangere un passato che – pur avendo dato numerosi e fecondi frutti dei quali ancor oggi godiamo – è inesorabilmente tramontato. Occorre saper accogliere le sfide e le difficoltà che il presente ci impone e propone come un’opportunità per crescere spiritualmente.

Radicati e fondati sulla memoria di una Chiesa che nel corso dei secoli ha seminato con abbondanza, deve crescere la consapevolezza che ogni generazione di credenti, sostenuta e guidata dalla Spirito Santo, ha il compito ineludibile di adattare sempre più se stessa alla potenza trasfigurante del Vangelo per consolidare la fede dei credenti e per aiutare chi da tempo si è allontanato, per tanti motivi, – forse anche per nostra responsabilità –, affinché possa riprendere un cammino di fede. Le parole dell’apostolo Paolo sono un pungolo costante e una bussola che orienta decisamente ogni evangelizzatore: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro.” (1Cor 9,22-24).

Non dobbiamo indulgere alla rassegnazione – tentazione tutt’altro che remota – quasi fossimo chiamati a gestire con dignità un de- clino, ritenendo che i fasti del passato, ormai archiviati, lascino lo spazio ad un presente di un piccolo gregge sempre più elitario e sempre meno missionario. Nemmeno si può assecondare l’idea che quanto si è fatto sia ormai un’esperienza muta e sterile. In realtà, se oggi siamo qui a testimoniare la fede, è grazie a chi ci ha preceduto, che pur con i limiti tipici della nostra fragilità umana, ci ha messo nelle condizioni di incontrare il Signore.

Ho detto, in più occasioni, che non possiamo permetterci il lusso dell’avvilimento o dello sconforto, perché sarebbe un atteggia- mento di ingiustizia – oserei dire grave – nei confronti del Signore e di tanti fratelli e sorelle di questa Chiesa che hanno speso la loro vita per rendere visibile e tangibile l’amore di Dio!

Proprio in queste settimane si è concluso il poderoso lavoro sulla storia della Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla. L’ultimo volume in tre tomi ci consegna la storia recente, di cui molti di voi – con ogni probabilità – sono stati anche testimoni oculari e forse protagonisti. Sono pagine intrise di operosità e di iniziati- ve, anche innovative, sia in ambito ecclesiale, sociale e caritativo. Conoscere questa storia, amare questi volti di fratelli e sorelle – vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi/e, laici e laiche – è un primo efficace antidoto contro lo scoraggiamento, ma anche un monito a non disperdere questa preziosa eredità. Un grazie di cuore al Vescovo Adriano che ha promosso questa iniziativa e a chi l’ha resa possibile con il suo lavoro assiduo e silenzioso!

 

1.  La Comunione:

immersione nell’Amore trinitario.

Negli incontri serali nei vicariati ho proposto una riflessione sulla comunione a partire dalle considerazioni che l’apostolo Paolo rivolge alla comunità di Corinto, nella sua prima lettera.

Sin dalle battute iniziali, l’apostolo manifesta la sua preoccupazione per le notizie che lo raggiungono dopo la sua partenza: divisioni, invidie e rivalità (cf. 1Cor 1, 11-12). Egli è a conoscenza dei grandi doni spirituali operanti nella comunità, eppure coglie immediatamente che questi doni, se sono sganciati da Colui che li ha concessi, diventano un’arma pericolosa e letale per la vita stessa della comunità. Il dono separato dal volto del Donatore diviene così, in modo subdolo – ma non tanto – un mezzo per affermare se stessi, ammantando il proprio impegno come servizio e dedizione, mentre in realtà si frantuma quella Comunione che è il dono per eccellenza della Pasqua del Signore: come vantarsi di ciò che per pura grazia ci è stato donato? Né chi pianta né chi irriga è qualcosa, ma è Dio che fa crescere (cf. 1Cor 3,5-7).

La compromissione dell’unità e della comunione, anche a fronte di una proposta ricca e al passo con i tempi, è votata inesorabilmente alla sterilità e non apporta nessuna novità evangelica: nel migliore dei casi la vita della comunità è assimilata a quella di un club o ad un’agenzia di aggregazione sociale che fornisce servizi a richiesta.

Paolo rimane fortemente contrariato nel vedere che tale frattura si rende ancora più visibile nel contesto della celebrazione eucaristica che non è più la cena del Signore! (cf. 1Cor 11,20).

La Comunione è il dono che il Signore risorto riversa sui discepoli asserragliati e impauriti nel cenacolo: per due volte, infatti, risuona in quel mattino di Pasqua “la Pace è con voi!” (cf. Gv 20,19.21). La pace che nasce dalla Pasqua, con l’ostensione delle Sue mani e del Suo costato, segni inequivocabili di quell’Amore portato sino alla fine, è la pace di Cristo. Non è quella del mondo, che spesso si raggiunge con l’eliminazione dell’avversario, ma è piuttosto quella che scaturisce dal dono di sé per amore del nemico.

La pace che discende nel cuore dell’uomo lo riconcilia profondamente con quell’immagine di Dio che i nostri progenitori avevano lasciato sfregiare dal tentatore nel giardino dell’Eden, quando avevano accolto e coltivato l’idea che Dio era loro antagonista. Da quel momento il Signore si è messo alla ricerca dell’uomo per guarire in lui questa tragica distorsione del Suo volto: sì, è vero, siamo tutti dei ricercati.

A conclusione di quello stupendo affresco della vita cristiana che è il capitolo ottavo della lettera ai Romani, l’apostolo Paolo quasi sopraffatto dallo stupore e dalla meraviglia di sentirsi così profondamente amato esclama: “Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi, che è resuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?” (Rm 8,31-34).

Nella luce sempre più intensa della mattina di Pasqua, l’uomo ritrova il vero volto di un Dio che è Padre (cf. Gv 1,18), di un Figlio che ha donato se stesso per noi Suoi fratelli (cf. Gv 20,17) e del Paraclito, lo Spirito di Verità che rende efficacemente presente la Sua parola, la Sua vita (cf. Gv 14,26; 16,13-15) e che rimane con noi per sempre (cf. Gv 14,16).

La vita cristiana è dunque immersione in questo Amore trinitario di cui siamo stati resi partecipi e al quale siamo perennemente invitati come è iconicamente rappresentato nella celebre opera di Rublev.

Nel Battesimo ricevuto – consepolti e con- resuscitati con Cristo (cf. Rm 6,4) – portiamo impressa in modo indelebile questa impronta comunionale trinitaria e, ogni volta che l’assecondiamo e la viviamo, avvertiamo una gioia profonda perché a questo siamo chiamati e per questa siamo stati creati.

L’esperienza di un Amore così avvolgente e discreto allo stesso tempo si riversa inevitabilmente dal nostro cuore alle persone che incontriamo e rende possibile quell’unità dei cuori che, pur diversi, riconoscono tutti di es- sere stati amati e salvati dal quel Buon/Bel Pastore che con il dono di sé ci ha condotti nel seno del Padre.

Ho voluto richiamare, per sommi capi, questo grande mistero di salvezza, fondamento della nostra identità di credenti, per ricorda- re a me e a ciascuno di voi che la comunione e l’unità non sono una strategia per rendere più efficace e incisiva la nostra azione, secondo l’antica massima “l’unione fa la forza” o l’altrettanto celebre espressione degli intrepidi moschettieri “tutti per uno e uno per tutti”. La comunione non è un mezzo, è il principio e il fine da cui trae origine e cui tende tutta l’attività evangelizzatrice della Chiesa. Non si deve smarrire questa visione teologica e spirituale, senza la quale l’identità stessa della Chiesa e la sua missione perdono il loro senso e significato.

2.  La relazione, via dell’evangelizzazione.

È evidente che una simile consapevolezza ha delle inevitabili ricadute per la vita con- creta delle nostre comunità e per il modo con cui mettiamo a servizio i doni che dal Signore abbiamo ricevuto!

Conseguenze innanzitutto per chi ha responsabilità di guida nel ministero ordinato – presbiteri e diaconi –, ma non solo, perché deve essere chiaro che nessuno nella Chiesa è solo destinatario di una Parola, o oggetto di una cura pastorale. Tutti con doni diversi sono chiamati a contribuire all’edificazione della Chiesa come pietre viventi (cf. 1Pt 2,5), non esiste una delega all’evangelizzazione, ma una piena corresponsabilità che è orientata al bene dei fratelli e delle sorelle che già ne sono membri e anche nei confronti di coloro – e sono i più – che da tempo le sono estranei.

La Comunione si intesse e si alimenta nell’incontro, cioè nella volontà di dare tempo e spazio alla relazione. Senza questa precisa e determinata volontà di offrire ciò che abbiamo di più prezioso – il tempo, il mio tempo – all’altro, non può in nessun modo decollare un vero e fecondo incontrarsi nella Chiesa. Donare tempo e accogliersi incondizionatamente sono le premesse indispensabili perché la comunione possa esprimersi e trovare un luogo di epifania. Il paradosso della nostra epoca è che mai come ora abbiamo l’opportunità di entrare in contatto gli uni con gli altri attraverso numerosi mezzi social a nostra disposizione, che ci permetto- no una comunicazione istantanea e in tempo reale, ma è altrettanto vero che mai come oggi viviamo all’interno di un mondo comunicativo virtuale dove le relazioni possono accendersi o spegnersi a nostro piacimento, senza alcun coinvolgimento. Abbiamo bisogno di incontrare un volto e non di ricevere un semplice messaggio di chat con qualche emoticons divertente!

2.1  Concordia e fraternità del nostro presbiterio.

La ristrutturazione delle Diocesi resasi necessaria per i motivi che tutti conosciamo, ha portato ad una significativa estensione dei Vicariati, inoltre le Unità Pastorali con gli accorpamenti di parrocchie che un tempo avevano un presbitero residente hanno inevitabilmente reso più difficile il contatto personale o anche solo la conoscenza delle persone che, in un contesto più circoscritto, avevano la possibilità di coltivare relazioni più familiari.

Credo sia necessario investire di più nel creare occasioni di incontro innanzitutto tra i presbiteri disseminati su un territo- rio vasto e a volte così disomogeneo che si estende dalla pianura fino alla montagna. Il fine primo di questi incontri tra presbiteri non deve essere quello della programmazione che pur è necessaria, ma di coltivare la fraternità presbiterale. Abbiamo bisogno di condividere la nostra vita e missione, di trovarci a pregare insieme, meditando e pregando la Parola di Dio che, prima di essere annunciata alle nostre comunità, deve trovarci discepoli pronti ad ascoltare! Non diventiamo dei professionisti della conversione altrui!

In questa luce mi sembra quanto mai urgente e necessario per il nostro presbiterio che una volta al mese nei vicariati ci si in- contri con questo desiderio di condivisione fraterna, semplice, concreta e reale!

So bene, per esperienza, che noi presbiteri spesso ci lamentiamo della nostra solitudine e dell’isolamento, ma quando poi ci sono offerte reali occasioni di incontro andiamo in difficoltà. Forse sopraffatti dalle tante cose da fare, li consideriamo una perdita di tempo, o li viviamo quasi come una penitenza necessaria. Siamo stati abituati a pensare e ad agire da soli, illudendoci di essere più tempestivi ed efficienti. A volte sembra che non manchino mai provvidenziali giustifica- zioni pastorali – ad esempio funerali – che ci impediscono di partecipare a questi incontri programmati! Sarà quanto mai opportuno pregare per la salute dei nostri fedeli, specie in prossimità di questi incontri!

Un presbitero che si sottrae a questi incontri o li vive con pesantezza e rassegnazione, deve interrogarsi seriamente sulla qualità della sua vita di fede e sulla sua appartenenza a quella Chiesa che lo ha generato alla fede e che gli ha conferito una missione così grande e impegnativa. Utilizziamo le occasioni che ci sono offerte e siamo anche creativi nel proporne di nuove. Investire sulla comunione è sempre fecondo!

Sono rimasto favorevolmente colpito dall’aver saputo che ci sono presbiteri che si trovano nei Vicariati una sera alla settimana per condividere la cena e un momento di fraternità, senza aver lo scopo di riformare la Chiesa universale e quella reggiana, magari si scambiamo pareri sul nuovo Vescovo – spero clementi –, ma animati del desiderio di stare insieme consumando i pasti con letizia e semplicità di cuore! (cf. At 2,46).

2.2  Presbiteri e diaconi.

Un altro aspetto che mi sembra rilevante per il cammino della nostra comunità diocesana è la presenza significativa, sia in termini quantitativi che qualitativi dei diaconi. La storia recente della nostra Chiesa anche da questo punto di vista mi sembra particolarmente benedetta!

Un desiderio e una richiesta che sono emersi negli incontri vicariali è che tra presbiteri e diaconi possa esserci, non solo una collaborazione sempre più stretta, ma prima di tutto una reale conoscenza e condivisione del cammino pastorale delle comunità!

Non si tratta evidentemente di una semplice suddivisione delle competenze o degli ambiti che certamente è utile per il buon funzionamento delle attività, ma di corresponsabilità nell’esercizio del proprio ministero.

In questa prospettiva appare naturale e ovvio che essendo responsabili della pastorale di una zona, debbano esserci incontri programmati anche tra presbiteri e diaconi, forse non con cadenza mensile, ma in ogni caso frequenti. Si potrebbe ipotizzare che ad un incontro mensile tra presbiteri ne segua uno tra presbiteri e diaconi. L’incontro dovrebbe avere sempre un taglio fraterno e spirituale, per conoscersi sempre meglio alla luce della Parola di Dio. Lascio ai singoli vicariati l’organizzazione di questi incontri, tenendo conto della situazione e della particolarità del nostro territorio.

Inoltre visto che le Unità Pastorali hanno al loro interno comunità che un tempo avevano un parroco residente, perché non pensare che un diacono abbia la delega di accompagnare

  • in comunione con il moderatore dell’Unità
  • una comunità in modo fisso? Ciò aiuterebbe i fedeli ad avere un punto di riferimento più stabile e attento alle esigenze di quella

2.3  Accompagnare i cambiamenti.

La pandemia ci ha costretto a sperimentare nuove modalità di presenza e di azione pastorale. Pur nella drammaticità della situa- zione, dalla quale non siamo ancora completamente usciti, abbiamo reagito con fiducia e speranza, scoprendo la creatività dello Spirito Santo. Occorre far tesoro di questa esperienza. Ora che la situazione è sensibilmente migliorata, si riprende il cammino.

Ho percepito il desiderio di cambiamento che l’esperienza pandemica ha in parte accelerato. È senz’altro un segno di vitalità che deve essere ben incanalato. In altre parole, quando si propongono dei cambia- menti nei percorsi di iniziazione alla fede e ai Sacramenti, è necessaria l’accortezza e la pazienza di accompagnarli. Sappiamo bene, per esperienza, quanto sia difficile mutare le nostre abitudini, spesso consolidate e collaudate, e inoltre quanto sia una facile tentazione assecondare un desiderio di cambiamento che non tenga conto della totalità della comunità.

È un problema antico, se già San Paolo scrivendo ai Corinti e ai Romani aveva evidenziato le difficoltà che attraversano queste comunità composte da forti e deboli.

Rimando a questi testi (cf. 1Cor 8; Rm 14) che costituiscono una sapiente e permanente riflessione per ogni evangelizzatore! Accompagnare e non imporre, tenendo conto dei più deboli e fragili, rallentando se necessario il ritmo per non lasciare nessuno lungo la strada. Un buon passo da montagna, uno sguardo attento e premuroso per incoraggiare e sostenere, una valutazione del passato che non indulge a nostalgie ma neppure a sentenze perentorie e categoriche su di esso, quasi che il Vangelo sia giunto in quella zona in coincidenza con il nostro insediamento!

Un’ultima considerazione su questo aspetto dell’accompagnamento! Ognuno di noi ha maturato un cammino di fede grazie ad incontri con persone e assimilando una spiritualità che in qualche modo ha parlato al suo cuore ed è stato un luogo provvidenziale per il suo cammino di fede. È necessario vigilare attentamente perché, – specie per chi ha responsabilità di guida – non si cada nell’inganno che una tale esperienza sia considerata la migliore e la più efficace, tanto da essere proposta come la Via su cui tutti si devono incamminare. Accompagnare significa saper guardare all’altro con sapienza e libertà, e fornendo un’alimentazione adeguata e proporzionata a quanto può essere assimilato e metabolizzato! Un autentico evangelizzatore non lega mai a sé quelle persone che sono e sempre rimangono del Buon Pastore e, per quanto sia grato del suo percorso di fede e della spiritualità che lo sostiene e lo alimenta, si guarda bene dal cedere alla tentazione di convogliare tutti nella medesima direzione, sapendo bene che lo Spirito Santo soffia dove vuole ed è creativo anche nei modi in cui riesce ad aprirsi un varco nel cuore dell’uomo. È confortante vedere che quando ci sono avvicendamenti nelle parrocchie e unità pastorali spesso ci siano sofferenze per il distacco e per le profondità delle relazioni maturate! È un segno che si è lavorato bene, ma è ancor più consolante vedere che si è pronti a riprendere un cammino con altri fratelli e sorelle, senza rimpianti, e lasciando ad altri il campo completamente libero! Difendiamo questa libertà, che è quella dei figli di Dio.

In questa luce propongo che per l’anno pastorale nei nostri incontri si possa approfondire nella meditazione e nella preghiera la prima lettera ai Corinzi di San Paolo. In questo scritto possiamo attingere non solo la passione dell’apostolo per l’annuncio del Vangelo, ma anche acquisire, dalla sua esperienza, quella carità pastorale di cui le nostre comunità hanno bisogno.

 2.4  Il Cammino sinodale.

In questo orizzonte trae nuovo impulso il cammino sinodale che le Chiese in Italia han- no intrapreso e che ha visto la nostra Diocesi impegnata in diversi ambiti a promuovere l’ascolto delle diverse componenti della Chiesa e della società civile.

In questo secondo anno siamo invitati ad un supplemento di ascolto! Siamo esortati ad avere come punto di riferimento la casa di Betania e ad aprire i “Cantieri di Betania”. Questi nuovi cantieri investono luoghi e ambienti che siamo chiamati a conoscere meglio e che includono il vasto mondo delle povertà, gli ambienti della cultura, delle religioni e delle fedi, il mondo intra ecclesiale dei consigli pastorali e degli affari economici, il ruolo delle strutture delle nostre parrocchie e infine l’ambito delle diaconie e formazione spirituale, con un’attenzione particolare al tema della corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana.

Avremo modo di organizzare tempi e modalità di questo ascolto.

3.  Insegnaci a pregare!

 Un altro spunto che vorrei offrirvi è quello riguardante la preghiera.

Se la comunione è il dono per eccellenza del Signore risorto, la preghiera è una delle vie essenziali perché possiamo crescere nella nostra relazione con Lui e tra di noi.

È significativo che i discepoli, vedendo Gesù pregare, abbiano avanzato la richiesta! La loro domanda, infatti, scaturisce dal fatto che l’hanno visto pregare e da qui è nato in loro il desiderio di essere aiutati ad entrare in questa dimensione orante (cf. Lc 11,1ss). Ciò significa che prima dell’esortazione a pregare, che in altri contesti Gesù raccomanda ai discepoli (Lc 18,1ss; 22,40), è la testimonianza della sua preghiera a suscitare in loro questa esigenza.

Insisto su questo perché la preghiera si può insegnare solo se si è uomini e donne di preghiera, infatti è comunicazione di un’esperienza, è la capacità di lasciare che lo Spirito Santo venga in aiuto alla nostra debolezza! (cf. Rm 8,26). Non si tratta di esporre una tecnica, quanto piuttosto di trasmettere quanto si vive nell’incontro quotidiano, feriale con Dio.

Siamo tutti d’accordo che la preghiera è una dimensione importante e forse proprio per questo non riusciamo a viverla in pienezza. La preghiera non è semplicemente importante, ma essenziale, così come respirare non è semplicemente importante ma vitale! Finché confiniamo la preghiera tra le cose importanti, saremo sempre in difficoltà a darle il giusto spazio nella nostra vita e nella vita delle nostre comunità cristiane!

Spesso ci difendiamo, dicendo che il tempo a nostra disposizione è poco, che siamo ingolfati in tante questioni, ma in realtà più che di tempo la preghiera ha bisogno di coraggio! Il coraggio di stare alla presenza del Dio vivente che scruta i nostri cuori e dinanzi al quale nulla di noi è nascosto (cf. Eb 4,12-13). Abbiamo timore di creare e dare spazio ad una Presenza che mette a nudo ciò che siamo senza alcuna possibilità di barare.

Eppure sappiamo bene che tutte le volte che ci siamo disposti a incontrare il Signore e gli abbiamo dato tempo e spazio, abbiamo avvertito gioia e consolazione!

È vero che siamo chiamati ad avere un atteggiamento di apertura nei confronti dei cambiamenti che si rendono necessari per essere più efficaci nel trasmettere la fede, modificando anche quelle strutture che hanno fatto il loro tempo e che ora possono essere più di intralcio che di aiuto. Ma non dobbiamo pensare che cambiando le strutture, le persone – di conseguenza – modifichino la loro vita. In realtà è il cambiamento di noi stessi la via per un’autentica riforma della Chiesa e della vita delle nostre comunità! Il rischio, infatti, è che ciò che proponiamo sia ancora il frutto di quell’uomo vecchio i cui residui continuano a influenzare il nostro modo di pensare ed agire! Il Magistero dei Santi, da cui sempre dovremmo attingere, è la testimonianza inequivocabile di questa dinamica. San Francesco e San Domenico – solo per fare un esempio – hanno influenzato più di ogni altra autorità ecclesiastica del loro tempo, la vita della Chiesa e della società.

Una nuova e rinnovata evangelizzazione non può che scaturire da cuori oranti e che accolgono l’invito a stare in ascolto di quanto lo Spirito suggerisce e ispira alla Chiesa! E il frutto dello Spirito – come scrive san Paolo – è: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé! (cf. Gal 5,22). Si direbbe che lo Spirito Santo ci rende finalmente persone normali!

La celebre frase di San Serafino di Sarov possa costituire una stella polare per la nostra pastorale: “Trova la pace interiore e una moltitudine di fratelli troverà la salvezza in te”.

Carissimi fratelli e sorelle promuoviamo nelle nostre Unità Pastorali occasioni per imparare a pregare, attraverso momenti di lettura orante della Sacra Scrittura, ritiri ed esercizi spirituali secondo diverse modalità! Ma soprattutto siamo uomini e donne di preghiera!

I presbiteri e i diaconi sentano che la dia- conia più importante è aiutare i fratelli e le sorelle che incrociano il loro cammino ad incontrare il Signore. Non accada che a fronte di una richiesta di aiuto per imparare a pregare ci trovino impreparati o sprovveduti!

La lingua parla dalla sovrabbondanza del cuore! (cf. Lc 6,45).

4.  La Carità.

La varietà e la consistenza degli interventi della nostra Caritas diocesana sono una efficace testimonianza di attenzione e premura per le tante urgenze che, anche nel tempo presente, siamo chiamati ad affrontare. Lo spettro di intervento è davvero molto ampio così come l’organizzazione richiede tempo, energie e tanta generosità da parte di tutti. Sono grato al Signore di questa operosità e di un servizio che spesso non conosce orario! Nondimeno, mi sembra importante che un’attività così intensa aiuti a riscoprire che la Carità non è appannaggio esclusivo di co- loro che sono direttamente impegnati nelle attività organizzative! Se non esiste una de- lega all’evangelizzazione, così non può esistere che ci siano dei professionisti della Carità a cui si lascia il compito di provvedere a tanti fratelli e sorelle che sono nel bisogno e nella necessità. Non potremo dire al Signore nel giorno del giudizio che incontrando il povero, l’affamato, l’assetato ecc…l’abbiamo inviato alla Caritas!

Il professionista della Carità è il credente in quanto tale!

Se a volte parlando della povertà si rischia di cadere nell’ideologia, quando si scelgono i poveri si sceglie sempre Cristo!

Questa riflessione è un monito severo per me come Vescovo e vorrebbe essere un’esortazione a tutti i fedeli perché anche nella ferialità – spesso monotona – non ci lasciamo sfuggire le tante occasioni di bene che il Signore ci offre! Non deleghiamo quella Carità che è l’unica realtà che è più forte della morte (cf. Ct 8,6-7) e che inoltre copre una moltitudine di peccati! (cf. 1Pt 4,8).

5.  La Missione.

La Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, in particolare dopo il Concilio e con l’impulso del Vescovo Gilberto, ha risposto con generosità al desiderio di rinnovare e sostenere l’impegno della missione ad Gentes. Quanti presbiteri, diaconi, religiosi/e, laici/laiche, sono partiti, in questi anni, dalla nostra terra e hanno speso e stanno spendendo la loro vita per annunciare il Vangelo! Se è vero che in questi ultimi tempi le forze si sono sensibilmente ridotte, ancor oggi la nostra Chiesa è impegnata su questo fronte ed è un gran bene per tutti noi! Questi fratelli e sorelle ci ricordano che la Chiesa è, per sua intima natura, missionaria e che nessuno si può sottrarre al dovere di essere un testimone del Signore risorto!

Abbiamo bisogno di riscoprire – nella nostra diocesi di Reggio Emilia-Guastalla – questa dimensione missionaria, chiedere allo Spirito Santo un supplemento di creatività per individuare percorsi e iniziative per re- suscitare nel cuore di tanti fratelli e sorelle il desiderio e la nostalgia di Dio.

E forse sarà opportuno incominciare a pensare a qualche idea e progetto per una rinnovata missione evangelizzatrice del nostro territorio.

È mia intenzione di visitare questi nostri fratelli e sorelle nelle diverse missioni in cui siamo presenti, non solo per dire loro la prossimità e la gratitudine della nostra comunità diocesana e del Vescovo, ma anche per attingere consolazione e coraggio dalla loro testimonianza!

* * *

Carissimi fratelli e sorelle, come vedete le considerazioni che vi offro sono solo alcuni pensieri meditati e pregati, che in questi mesi mi hanno accompagnato, durante i numerosi incontri comunitari e personali.

Mi auguro possano essere utili per l’inizio del nostro cammino insieme, mentre desidero ringraziarVi di cuore per l’accoglienza e l’amicizia che mi avete manifestato e che mi assicurate, esse sono un dono prezioso per me e per il mio ministero!

Come ho chiesto il giorno del mio ingresso pregate per me perché possa essere padre attento e premuroso!

La Beata Vergine della Ghiara e della Porta, insieme ai Santi Patroni Prospero e Francesco d’Assisi, i martiri Crisante e Daria e il beato Rolando Rivi, ci custodiscano e proteggano, affinché possiamo essere sempre più un cuor solo e un’anima sola!

Reggio Emilia 8 Settembre 2022 Solennità della Natività della B.V. Maria

L’Arcivescovo Giacomo Morandi – Vescovo di Reggio Emilia – Guastalla