GRAZIE !!

Domenica 26 agosto 2018

Omelia di saluto di don Enrico (commento a Gv 6, 60-69)

Vi confesso che non mi è stato facile mettere giù le parole che dirò oggi, un po’ perché la mia testa deve essere stata rinchiusa in qualche cartone che sto ancora preparando, un po’ perché ho percepito una certa fatica nell’accettare un congedo che avviene in un tempo che appare a molti di voi troppo breve.
Anzitutto vorrei sottolineare quello che ho già avuto modo di dire: io mi sento onorato per essere stato scelto a presiedere le comunità della Pieve di Scandiano; e questi 4 anni sono stati un dono inimmaginabile: prima di tutto per le persone che ci sono, per i doni diffusi, per tutta la ricchezza che c’è. Poi per il cammino fatto insieme, per tante cose belle realizzate, per l’esempio dei miei confratelli (senza togliere niente a nessuno penso a don Battista, che rimane per me un esempio di vita umana, presbiterale e di fede), per la dedizione di tantissime persone.

Uno sguardo dall’alto.
Mi piacerebbe condurvi oggi un po’ alla maniera di un nostro campeggio dei ragazzi in montagna (sapete che prediligo le Dolomiti): cerco di scegliere i posti migliori per suggerir loro da quanta bellezza sono circondati e a chiedersi chi sia l’Autore di tanta bellezza.
Oggi, allora, vi invito con me sul belvedere di questi 4 anni per considerare quanta bellezza, quanto impegno… quanto attendersi dal futuro.
Da questo punto di osservazione vedo il cammino comune delle Parrocchie con una contaminazione di doni e di conoscenza reciproca che appariva impensabile: vedo una Casa Famiglia della Carità fatta propria da tutte le comunità della Pieve, vedo il cammino dei fidanzati, della Pastorale giovanile, vedo una catechesi che si sforza di essere un buon messaggio per la vita e  dei catechisti che ci danno la pelle per questo, vedo delle Scuole di Infanzia solide e stimate dalle famiglie, vedo una solidarietà tra le comunità circa le risorse economiche (in modo tale che chi ha meno possibilità possa avere chance per realizzare qualche progetto –attraverso prestiti-), vedo la pastorale della Carità che continua ad essere un segno importante anche per la comunità civile, vedo i volti degli oltre 1000 ragazzi e animatori che in questi 4 anni hanno partecipato a campeggi e Grest… e potrei continuare… La maggior parte di quello che vediamo insieme viene da lontano (non è sorto solo in questi 4 anni), ma è stato opera attuale vostra…  Potremmo aggiungere ciò che il Vescovo ha visto nella Visita Pastorale, rimanendo molto positivamente colpito dalla vivacità della nostra realtà (a partire dalla freschezza dei bimbi di catechismo che gli hanno regalato un incontro arguto e frizzante…)…
Ma poi aggiungerei quello che spesso non si riesce a vedere, che è la cosa più sostanziosa e più grande: la vita di molti di voi che è Vangelo: nelle scelte di vita, nella prossimità, nell’interpretare l’esistenza. Da questo belvedere, da questo picco sul monte si vedono tutte queste cose. Sono state il nostro pane di questi 4 anni. Ma questo pane, da dove viene, di cosa è simbolo, che nutrimento dà?

Passare dal pane a nutristi dell’Amore che c’è nel Pane.
Da alcune domeniche stiamo leggendo Gv 6 che ha come tema il Pane di vita, centro simbolico del messaggio. E’ come se Gesù ci dicesse: hai del pane? Chiediti chi lo ha fatto arrivare sulla tua tavola e perché? Hai una vita? Chiediti chi te l’ha apparecchiata? Hai dei doni? Chiediti da chi provengono.
Tutta la creazione, la natura, le cose spirituali e materiali, noi stessi siamo un dono che ci chiede di scoprire che in esse il donatore, il Padre, vorrebbe donarci tutto se stesso in quello che ci ha dato. E in effetti lo ha fatto, donandoci tutto se stesso nel suo Figlio.
Passare dal pane all’amore che c’è nel pane… richiede il masticare la carne e il sangue del Figlio dell’uomo:
– Pensare come pensava Gesù – Amare come amava lui – Agire come agiva lui
Fermarsi al miracolo del pane, delle cose ben fatte ed essere sazi vuol dire non aver capito nulla.
Dal punto di vista comunitario fermarsi alla ricerca del miracolo del pane, significa rincorrere anno dopo anno cose sempre meglio fatte, affannarsi per il nuovo che riempia lo stomaco.
Vuol dire accontentarsi dell’organizzazione senza masticare la comunione.
Significa fermarsi ad una semplice divisione dei ruoli dei laici nella comunità, senza masticare il desiderio di onorare (senza gelosie) chi accetta di compiere un servizio.
Essere sazi di una forma storica (e ormai visibilmente in affanno) di essere Chiesa, significa rinunciare ad assimilare, o meglio, a farci assimilare da colui che è Spirito di Vita che vuole incarnarsi nelle nostre mani e nei nostri volti e nelle nostre azioni e nelle nostre parole.

“È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Gv 6, 62)
La carne dell’organizzazione, della giusta corresponsabilità dei ruoli, del sacrosanto attaccamento alla propria storia non giova a nulla…, senza l’amore che ne è il movente, senza la comunione che è Spirito è vita.
E’ come essere belli, sani e nutriti, in carne, senza sapere qual è l’amore che ci ha messi in questo mondo, quindi vuoti e disorientati.
“Questo linguaggio è duro!”
Sì, Giovanni scrive queste dure parole di Gesù perché era lo stesso problema delle sue comunità che si fermavano al segno, alle liturgie, avendo smarrito il significato del segno del pane (la lavanda dei piedi, un Dio che ti lava i piedi e che ti chiede di fare come Lui…)
Il pane che mangiamo dovrebbe farci vivere da fratelli . Quelli che vedono le nostre parrocchie dovrebbero dire: guarda, si vogliono bene come fratelli! Che esista un Padre?

Il pane buono di Scandiano.
Io ho amato queste comunità, ma, e qui vi chiedo di fidarvi delle mie parole, dopo aver a lungo riflettuto ed essermi confrontato nel discernimento, ho pensato che ci volesse “il fegato” di dare la disponibilità a rigiocarmi nel mio tentativo di amare il Signore lì dove la necessità avesse chiamato, se volete, a non fermarmi al pane buono mangiato qui. Capisco che questo è molto illogico.
Provo a spiegarvelo con un testo di don Manenti (sul discernimento vocazionale):
Nella propria ricerca vocazionale (che non finisce mai), cioè in amore, ad un certo punto si comprende che o si va avanti, ci si butta oppure si rischia l’involuzione, il tornare indietro, il non maturare…  E allora ci vuole fegato.
“Per una decisione di vita bisogna ragionare in un modo assurdo. Per comperare un’automobile ci vuole la logica. Per fare una decisone di vita no. Il ragionamento logico consiste in un corretto ordinamento e in una combinazione di elementi predeterminati che danno il risultato desiderato. Si calcola il comportamento umano in modo da scoprire una formula che dia il risultato desiderato. (C’è perfino chi si affida al computer per la ricerca del proprio partner e chi all’ingegneria genetica per avere un figlio biondo e con  gli occhi azzurri). La vita diventa una combinazione di probabilità e scegliere vuol dire imbroccare la combinazione giusta che meglio garantisca un risultato (e semmai prima si prova, e poi a seconda del risultato si decide).
Donarsi è tutt’altra cosa. Nasce da una razionalità che parte da un’altra premessa: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6, 69). Il calcolo combinatorio sparisce, la garanzia ottenuta in conseguenza del ripetersi di quantità già note non serve.
La decisone logica deve essere:
sicura: riduci al minimo il rischio; scegli quella decisione che più ti assicura contro l’errore;
a minimo costo: cerca di raggiungere l’obiettivo con il massimo di efficienza e il minimo di perdita;
precisa e chiara prima ancora della sua attuazione: calcola tutto prima di incominciare; non lasciare nulla all’imprevisto; l’esecuzione non deve avere imprevisti.
La decisione ‘illogica’ deve essere:
a rischio: se dopo aver pensato non hai certezze matematiche, buttati ugualmente. Non importa sapere cosa la vita ti riserverà, oggi basta sapere come affronterai l’imprevisto di domani, qualunque esso sia. Tu hai parole di vita eterna
precisa ma mai chiara: parti con valori precisi, oggettivi e realisti. La chiarezza verrà cammin facendo. La scelta la scopri man mano che la attui.
a massimo costo: dai la preferenza a quelle azioni che più di tutte esprimono la maggiore intensità di amore anche se avranno un risultato minimo”.
Fidatevi, non ho dato la disponibilità a cambiare perché stanco o per colpa di qualcuno, ma perché quel pane che mangio nell’eucaristia mi chiede di ragionare così.

In “Lettere dal deserto” Carlo Carretto dice di aver avuto un sogno. Gli avevano sempre insegnato di essere un pilastro della Chiesa. Ma un giorno sogna una chiesa in cui molti pilastri vengono tolti, lo stesso che lui rappresenta viene meno, ma la chiesa non cade. Da quel giorno capisce che la Chiesa si sostiene per la potenza di Dio e non per i nostri meriti o le nostre qualità. Possiamo viverci dentro con libertà, lavorando con amore, sapendo che il Signore non abbandona nessuno e non permette che nessuna realtà, che lui ha voluto, crolli. In questo senso, sono certo che anche voi che volete scommettere la vostra vita su Gesù siete in questo momento certi che il Signore vi sta preparando doni inaspettati.

Da ultimo vorrei farvi una raccomandazione utilizzando una frase molto bella della Lettera agli Ebrei:
“Praticate l’ospitalità, alcuni di voi senza saperlo hanno accolto angeli!” (Eb 13, 2). Continuate a voler un grande bene a don Paolo come gli avete sempre voluto e preparatevi ad accogliere don Andrea. Vi accorgerete che è un angelo e che sarà un grande dono per i nostri giovani e per le nostre comunità.

Scarica Omelia