Teresa di Lisieux e una piccola via di santità per il nostro tempo

A cento anni dalla morte la Chiesa ha riconosciuto S. Teresa di Lisieux dottore della Chiesa per la profonda intelligenza delle cose spirituali e per la sua docilità allo Spirito.

“I miei protettori in cielo e i miei preferiti sono quelli che l’hanno rubato, come i S.Innocenti o il buon ladrone. I grandi santi l’hanno guadagnato con le loro opere, io invece voglio imitare i ladri, io voglio averlo con l’astuzia, un’astuzia di amore che me ne aprirà la porta, a me e ai poveri peccatori”. 

La santità appartiene a tutto il popolo di Dio, alla gente comune, ed è un modo ordinario di vivere la vita con amore. Non è riservata ad alcune categorie. E’ per tutti e cresce attraverso piccoli gesti. Bisogna avere l’astuzia di imparare una strada alla portata di tutti.

La piccola via di S. Teresa non è una “via piccola”, è un totale abbandono alla grazia e alla misericordia di Dio.  E’ vivere la vita ordinaria che è data a ciascuno di noi, nelle nostre case, con le nostre professioni e vocazioni, con amore e per amore.

Come dice il Papa, bastano piccoli gesti: una donna che torna dalla spesa e incontra uno per caso e si ferma e gli presta ascolto, o accogliere una persona che ti viene a “rompere” quando tu sei stanco e non ne puoi più…L’amore non teme di misurarsi con dei piccoli gesti quotidiani, non ha bisogno di scenari straordinari per manifestarsi.

I maestri interiori di Teresa per percorrere questa strada sono lo Spirito Santo e la Parola di Dio: “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra e tutte le membra del corpo, pur essendo molte sono un corpo solo, così anche Cristo. Infatti, noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito e mediante lo Spirito tutti siamo stati dissetati. E ogni membro ha bisogno degli altri”. Ecco che Teresina, in un famoso scritto dice: “Io cerco nella Scrittura la risposta alle mie domande, non ho paura di interrogare la scrittura per vedere come vuol colmare il mio cuore” Cioè, dice, che non va a cercare altrove le sue risposte perché ha a portata di mano un pozzo da cui attingere ciò che le serve. E dice: “E’ soprattutto il Vangelo che mi tiene occupata durante le mie preghiere, in esso trovo tutto quello che è necessario per la mia povera piccola anima e vi scopro sempre nuove luci, vi scopro sensi nascosti e misteriosi”.

 Anche questa è una via da imparare, piccola, a portata di tutti, perché il Vangelo del giorno c’è per tutti ed è disponibile al nostro cuore, alle nostre orecchie  e alla nostra mente. Alla scrittura dobbiamo fare le domande che abbiamo più care, alla parola di Gesù bisogna bussare per chiedere.

Ancora Teresina dice nella sua autobiografia “Storia di un’anima”: “Siccome le mie aspirazioni erano un martirio, mi sono rivolta alle lettere di S. Paolo per trovare una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sul cap. 12 e 13 della prima lettera ai Corinti e lessi che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti, dottori… e che la Chiesa si compone di varie membra e che l’occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e darmi la pace”. Anche Teresina non trova subito una risposta: la ricerca chiede tempo, chiede di tornarci, anche sulla stessa parola, più volte. Poi però conclude: “Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore ardente d’amore, capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che spento questo amore gli apostoli non avrebbero più annunciato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue, compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi. In una parola, che l’amore è eterno. E l’amore mi offrì la chiave della mia vocazione.”

Questa cosa è molto preziosa perché, come dice il Papa nella lettera sulla santità: La Parola di Dio ha in sé la forza di trasformare la vita”. Allora facciamo questo parallelo per comprendere  come la parola ha trasformato la sua vita. “Sento dentro di me la vocazione del guerriero, del prete, dell’apostolo, del dottore, del martire, sento il bisogno di compiere per Gesù tutte le opere più eroiche, sento nella mia anima tutto il coraggio di un crociato, vorrei morire su di un campo di battaglia per la difesa della Chiesa. Sento in me la vocazione del prete ma, pur desiderando essere prete, ammiro e invidio l’umiltà di S. Francesco e mi sento la vocazione di rifiutare la sublime dignità del sacerdozio”.

  1. Teresa è una carmelitana scalza del monastero di Lisieux. Come fa a mantenere vivo il desiderio di essere anche altro? Il discorso di avere desideri diversi e tenerli insieme è perché lei, scoprendo di essere il cuore e di essere chiamata all’amore, scopre con questo una vocazione non divisiva, non discriminante. Tutte le vocazioni, non perché lo vogliano, hanno una radice di divisione: una carmelitana non ha figli, chi ha figli fa altre cose; un sacerdote può confessare, una suora no. Questo non è un problema, l’ altro che fa delle cose diverse da me non è che mi suscita immediatamente dei pensieri di comunione, di sintesi e di armonia. C’è qualcosa che ci divide e può succedere dappertutto: nelle famiglie, nel lavoro, nelle comunità. La vocazione all’amore è il collante che ci unisce tutti: tutti siamo chiamati all’amore, con forme di vita diverse. La vocazione all’amore è comunionale, è unitiva. Teresa questo l’ha scoperto: lei cerca l’unica cosa che non ci divide gli uni dagli altri, cerca l’amore e su questo gioca tutta la sua vita. Questa scoperta la fa con la scrittura e la Parola di Dio trasforma la sua vita.

Teresina non è stata risparmiata dalla vita: ha avuto delle grandi sofferenze in famiglia, aveva una sua fragilità, anche fisica (è morta di tisi, con un fisico distrutto da questa malattia), ha fatto l’esperienza, tipicamente carmelitana, del buio, della notte oscura.  Dice: “Gesù mi ha preso per mano e mi ha fatto entrare in un sotterraneo dove non fa né caldo né freddo, dove il sole non risplende, né cade la pioggia, né tira il vento…un sotterraneo dove non distinguo altro che un indistinto chiarore. Dio ha permesso che la mia anima fosse invasa dalle tenebre più fitte e che il pensiero del cielo, per me dolcissimo, non fosse più se non lotta e tormento.  Ma Signore, la vostra figlia ha capito.  Vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo vorrete del pane del dolore e non vuole alzarsi da questa tavola colma di Signore,… amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori. E anche lei osa dire con i suoi fratelli: abbiate pietà di noi ..”

Il suo percorso è stato riconosciuto da subito, è stata infatti beatificata subito dopo la sua morte e dopo due anni canonizzata (1925) e dichiarata patrona delle missioni nel 1927 e poi dottore della Chiesa…ma non le è stato risparmiato di percorrere una strada di debolezza. In questo modo ha imparato che il Signore sceglie chi è debole, chi è piccolo e povero, da tutti i punti di vista. Mantenere una strada di amore per gli altri e di fiducia in Dio anche nella debolezza, anche nella fragilità è una cosa molto bella: quando si incontra, la gente la riconosce.

A questo proposito, suor Ines  racconta l’esperienza delle mamme della “terra dei fuochi”: lo spirito fa nascere anche nei luoghi più colpiti dalla sofferenza, delle luci che ti convincono che le membra più deboli sono le più necessarie. Marzia è una di queste mamme che hanno perso i loro figli giovanissimi per un tumore causato dalle esalazioni tossiche dei rifiuti interrati e bruciati dalla camorra nelle campagne della Campania. Le loro storie sono state raccolte da don Patriciello nel libro ”Madre terra, fratello fuoco”. Al capitolo intitolato “Respiro” Marzia racconta la sua storia e le riflessioni scaturite da questa esperienza terribile: quello che sorprende è che lei ha saputo mettere in circolo un annuncio di forza nella debolezza, come Teresina. La debolezza è la condizione per cui il Signore è costretto a venirti in aiuto. Teresina chiusa in una cella del Carmelo di Lisieux ha amato così tanto da diventare patrona delle missioni; una mamma schiacciata dal dolore per la morte dell’unico figlio non si è lasciata abbattere ed ha rimesso in circolazione la sua capacità di amare. “Noi sappiamo che siamo passati da morte a vita se amiamo gli altri, se siamo capaci di mettere in circolo l’amore”.

Relazione di Suor Ines Talignani  –  27 settembre 2018

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