SEMPRE ENCONTRANDO
Restituzione del campo missionario in Amazzonia con momento di preghiera
Canto d’inizio: Resto con Te
Inquadramento dell’esperienza della missione (Giacomo)
Coordinate storico-geografiche della regione amazzonica e della presenza della Chiesa in questo territorio.
Racconto del viaggio di quest’estate: Manaus, Santo Antonio do Içà e comunità lungo il fiume, fino alla visita della triplice frontiera nei pressi delle città di Tabatinga (Brasile) e Leticia (Colombia).
Prima tappa: la nostra Fede abbraccia tutta la vita e l’intera creazione
Canone: Ubi caritas et amor
Ubi caritas, Deus ibi est
(Traduzione: Dov’è carità e amore, lì è Dio)
Durante il canone si porta su un legno posto di fronte all’altare la prima candela accesa.
In ascolto della Parola di Dio
Dal libro della Genesi
Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie”. E così avvenne. Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e Dio disse loro:
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”.
Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
(Gn 1, 24-31)
Testimonianza (Pietro e Samuele)
Siamo sempre stati abituati a considerare la foresta amazzonica come il polmone verde della Terra…e come negarlo? Difficile non rimanere colpiti dalla sua maestosità. Un numero pressoché infinito di animali e piante la abitano: secondo alcune stime oltre il 10% di tutte le specie viventi del pianeta. Percentuale che di volta in volta viene aggiornata, perché ogni anno gli scienziati ne scoprono di nuove. Questi dati esemplificano chiaramente il brano della creazione, il brulicare della vita.
Ebbene, noi di tutto ciò abbiamo sperimentato soprattutto l’altra faccia della medaglia, vedendo concretamente realizzate le parole di Genesi riguardo il soggiogare e dominare la terra. La foresta infatti costituisce una enorme fonte di ricchezza e risorse che i potenti hanno capito come sfruttare, spinti solo dalla sete di guadagno. Le pratiche di disboscamento, volte a creare ampi spazi per le agricolture, hanno portato negli anni a gravissimi danni per questo ecosistema. Ogni giorno vengono bruciate grandissime porzioni di foresta e gli effetti sono immediatamente visibili: a Manaus chiamano fumaça le nubi prodotte da questi incendi che, unite all’inquinamento urbano, ci hanno nascosto il cielo per tutto il nostro soggiorno nella città.
Anche qui, dunque, il cambiamento climatico ha un impatto fortissimo: don Carlotti stesso, nei giorni trascorsi insieme in barca, ci ha tristemente fatto notare come il livello dell’acqua non sia mai stato così basso come negli ultimi due anni. Non riesco davvero ad immaginare come sia possibile che interi banchi di pesce possano morire perché il fiume più grande del mondo si sta prosciugando. A cosa siamo arrivati? Perché abusare, rovinandolo fin quasi ad ucciderlo, di un dono così prezioso come la foresta, la natura in generale, che potenzialmente potrebbe dare in abbondanza a ciascuno?
In ascolto della Parola di Dio
Dal libro dell’Esodo
Il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. […] Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: “Che cos’è?”, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: “È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa comanda il Signore: “Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda”. Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto, chi poco. Si misurò con l’omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne.
(Es 16, 4.15-18)
Testimonianza
Consideriamo infatti che lungo le sponde del Rio Içà vivono tantissime piccole comunità, la cui unica fonte di sussistenza è rappresentata proprio da ciò che il fiume e la vegetazione offrono loro quotidianamente. Come ci dice il brano dell’Esodo “Ogni giorno la razione di un giorno”.
Mi colpisce molto vedere come, in questi villaggi, vivere significhi davvero accogliere come dono, tanto prezioso quanto in realtà normale e indubbio, ogni cosa prodotta spontaneamente dalla natura. Natura in questo senso sacra, perché permeata della presenza di un Dio che mette a disposizione il necessario.
Parlando a Mosè, infatti, il Signore ricorda al popolo di Israele di non raccogliere più manna di quanta ne possa mangiare in un giorno. È una grande prova di fede che viene richiesta, quella di credere che domani riceveremo nuovamente ciò di cui abbiamo bisogno, perché c’è un Dio che si prende cura di noi. Non c’è alcun motivo di mettere da parte o accumulare, perché tutto ciò che non mi serve oggi è un peso inutile, di troppo.
Credo di aver visto questa grande fiducia nelle persone che vivono lungo il Rio Içà, sicure che domani il fiume sarà ancora ricco di pesce, la foresta di frutti e che Dio si occuperà di loro. Sorge spontanea la domanda : riesco io a fidarmi così ciecamente del Signore? a credere che mi dia esattamente tutto ciò di cui ho bisogno?
Per queste persone Dio è imprescindibile e la certezza che ha a cuore ciascuno è profondamente radicata. È una fede così forte da non essere messa in dubbio nemmeno da eventi tragici ed inspiegabili : non soltanto la morte di un familiare, ma anche, più semplicemente, una canoa portata via dal fiume. Se accade è perché ha voluto così.
Alla luce di tutto ciò, possiamo allora dire che quest’esperienza ci ha offerto una diversa prospettiva attraverso cui guardare la realtà che ci circonda e in generale le nostre vite : non focalizzarsi solo su ciò che crediamo ci manchi, ma ricordarsi soprattutto di quanto abbiamo ricevuto.
=> Mi rendo conto dei doni che quotidianamente ricevo?
Silenzio.
Seconda tappa: essenzialità, ovvero mettere al centro ciò che conta
Canone: Ubi caritas et amor
Ubi caritas, Deus ibi est
(Traduzione: Dov’è carità e amore, lì è Dio)
Durante il canone si porta su un legno posto di fronte all’altare la prima candela accesa.
In ascolto della Parola di Dio
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse: “Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”.
(Mt 6, 25-34)
Testimonianza (Teresa)
Il verbo esistenziale più diffuso tra gli esseri umani è il verbo preoccuparsi. Chi si preoccupa è uno che vive sempre un passo in avanti rispetto alla vita e quindi non ha tempo di fermarsi per gustarla.
Il nostro mondo europeo è un mondo che rincorre il tempo, che scorre incessantemente più veloce della vita. Siamo sempre in affanno, di fretta, da una cosa all’altra senza quasi rendercene conto. L’impatto con la diversa concezione del tempo in Amazzonia è destabilizzante: io penso di aver cominciato ad abituarmi ai ritmi forse pochi giorni prima di ripartire per tornare. Fuori dalla canonica a Sant’Antonio do Içà ci sono diversi negozi e in uno di questi ogni giorno, sulla stessa sedia, nello stesso angolo, c’era una giovane ragazza seduta. Ferma, senza fare nulla, dalla mattina alla sera. Mi sono chiesta tante volte come facesse a lasciar scorrere il tempo così, senza esserne realmente coinvolta, senza trovare qualcosa che fosse per lei intrigante. Pensarmi, anche solo per un attimo, al suo posto mi terrorizzava. Forse è proprio questa paura che ha cominciato a parlarmi, a farmi capire l’importanza del rallentare fino quasi a fermarsi, dello scendere da quel tapis roulant della vita sul quale ci affanniamo.
È vivere, e non rincorrere, il tempo che permette di calarsi dentro di sé come in un pozzo, lasciando emergere l’abisso, aprendosi allo spavento e insieme alla meraviglia. Occorre un tempo che sia lento perché ogni angolo si schiuda, occorre un tempo lento perché il nostro sguardo lo colga. Essere presenti alla vita ci fa sentire non più soli, non più vuoti: in compagnia di noi stessi e del mondo intero.
Questo vangelo ci chiede di imparare a occuparci e non a preoccuparci, tornando all’essenziale. Chi si preoccupa finisce per perdere la bellezza e l’amore che ha intorno a sé.
Se penso alle giornate vissute in Amazzonia, il momento dove mi sono sentita davvero nel presente, immersa in un creato vivo e pulsante è stato durante la celebrazione della prima eucarestia lungo il fiume. Siamo arrivati nella comunità di Patià verso metà mattina: ad accoglierci poche persone tra adulti e bambini. Questa è una comunità Ticuna dove il portoghese viene parlato da pochissimi. Don Gabriele ha suonato la campana e ha preparato l’altare per la celebrazione. Non so come, non so perché, ma non mi sono mai sentita così vicina al Signore come in quel momento: circondata da sconosciuti, in ascolto di parole e suoni che non capivo, in un contesto a me non familiare. Le lacrime sono uscite spontanee, incontrollate: come una rivelazione, come se il Signore si stesse facendo vicino ricordandoci che “dove due o tre sono uniti nel suo nome, lì è anche lui in mezzo a loro” (cfr. Mt 18,20).
Il brano del vangelo continua: “se Dio nutre gli uccelli del cielo che non seminano, non mietono, né raccolgono, quanto più voi che seminate, mietete e raccogliete”.
Queste parole potrebbero sembrare un invito a non fare, ma in realtà sono una chiamata ad un impegno attivo senza preoccupazione. Questa gratuità l’ho riconosciuta nel servizio di don Paolo e dei don Gabriele: l’impegno nel vivere la Parola, nel lasciarsi plasmare dalla volontà di Dio senza troppi progetti, mettendo al centro l’amore per il prossimo e per Dio. Di questo amore gratuito, disinteressato ne ho sentito spesso parlare ma non mi ci sono mai trovata immersa in questo modo.
All’inizio mi sentivo percorsa da molta rabbia, continuavo a chiedermi: “Possibile che a loro vada bene così? Che il non aspettarsi nulla in cambio, l’essere scambiati ancora per frati dopo cinque anni non sia per loro una sconfitta?”. Con il passare dei giorni ho capito che il vero problema non era nel loro modo di approcciarsi alla vita, quanto piuttosto nel modo in cui i miei occhi, il mio cuore stavano vivendo la fede. Ecco che nella mia testa hanno cominciato ad affollarsi molte domande: “Ma io, Terri, riconosco in me un amore gratuito? Nell’amare una persona, mi aspetto qualcosa in cambio? Mi sento davvero libera?”.
Queste domande mi stanno accompagnando ancora adesso e, tra alti e bassi, non ho la pretesa di trovare risposte quanto piuttosto la serenità di vederle come luci che indicano il cammino, tenendo presente che Dio non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza, non toglie il dolore, ma lo riempie con la sua presenza.
“Cercate prima di tutto il regno di Dio”, cioè adoperatevi, datevi da fare per costruire una comunità, che condivide e serve secondo la giustizia di Dio. Condividere, servire il prossimo, tendere una mano sono tutti aspetti su cui si fonda la Chiesa in Amazzonia, una Chiesa in cui la rivelazione si fa quotidiana. L’essenzialità dell’annuncio si ritrova nella semplicità del pregare insieme, nello spezzare il Pane e nel cantare nell’unica grande stanza della casa. Questa verità umile illumina la strada e indica il cammino, guidando l’agire.
Molte volte nella vita mi è capitato di chiedermi cosa il Signore mi stesse dicendo, quale fosse la meta del mio vagare. Lungo il fiume, il filo conduttore di ogni incontro, di ogni abbraccio, di ogni sguardo è sempre stato la Parola e la sua incarnazione nella vita.
I don propongono ogni mese un vangelo su cui pregare e, durante il viaggio lungo il fiume, don Gabriele Carlotti, si ferma in ogni comunità per celebrare insieme. Durante il nostro viaggio abbiamo visitato fino a tre comunità nella stessa giornata, celebrando quindi tre messe. Nonostante le parole fossero sempre le stesse, Gabriele è riuscito, ogni volta, a renderle uniche in base alle persone che aveva davanti. Si è parlato di spezzare il Pane, di condividere il pesce, di essere comunità, di fare casa nella preghiera, tutto alla luce del cuore delle persone che avevamo di fronte. È questa la parola che interpella, che parla a ciascuno perché segno di un amore che va oltre. Dio regala vita a chi comunica vita agli altri, non lo si raggiunge con l’intelligenza, lo si sperimenta nell’amore.
Ed ecco l’ultimo invito a non preoccuparsi: “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”.
Il problema, la preoccupazione, non devono essere proiettati nel futuro, ma ogni giorno il Signore risponde ai nostri bisogni. Dio non ci tira fuori dalle tempeste, ma ci dà coraggio per affrontarle, non ci abbandona nelle difficoltà ma trasforma le prove in opportunità, proprio come un padre fa con i suoi figli.
=> Cosa c’è al cuore del mio rapporto con il Signore?
Silenzio.
Terza tappa: un amore senza misura
Canone: Ubi caritas et amor
Ubi caritas, Deus ibi est
(Traduzione: Dov’è carità e amore, lì è Dio)
Durante il canone si porta su un legno posto di fronte all’altare la prima candela accesa.
Spiegazione del simbolo della luce
Il segno della luce delle candele ci ha accompagnato nei due passaggi che abbiamo compiuto questa sera, e ora ci introduce nell’ultimo. È una fiamma viva, ardente, dinamica e che riscalda, simbolo di Colui che dice: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre”(Gv 8,12); quando ci raduniamo in preghiera è qui, viva, in mezzo a noi “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). La fiamma viva sull’altare è però anche un fuoco che consuma: per fare luce la candela si dona a noi, fino a morire. Per illuminare il mondo, che è questo spazio, la candela deve donare la sua vita con oblativa gratuità. Questa dinamica pasquale ed eucaristica di una vita che trionfa nella sconfitta, quest’eterno paradosso che forse vediamo ogni settimana senza accorgerci ci conduce all’ultimo passo che la Chiesa dell’Amazzonia ci ha fatto compiere.
In ascolto della Parola di Dio
Dal Vangelo secondo Matteo
E Gesù disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti”.
(Mt 13, 3b-9)
Testimonianza (Mattia)
Se dovessimo fare un’estrema sintesi, che cosa ci ha colpito soprattutto nelle tre settimane che abbiamo vissuto in Amazzonia?
Questi tre preti, assieme a tanti laici (soprattutto donne), che offrono la loro vita al Signore per mezzo del servizio ai fratelli: gliela donano tutta, senza riserve. Gliela consegnano tutta intera, senza temere difficoltà, senza fare di tutto per cercare di rendere la loro scelta meno scomoda e meno impattante sulla loro vita di tutti i giorni, senza mettere un paracadute, senza porre sotto di loro una rete di protezione, senza il desiderio di cercare di fare di tutto per non essere toccati, graffiati, forse feriti, da un popolo che chiede loro di essere vicini. In un’espressione: hanno imparato ad amare gratis, a volere bene senza aspettarsi nulla in cambio, senza cercare applausi, riconoscimento, facendo a meno anche dei grazie.
Il Signore quando chiama si fa intendere piuttosto bene: questo ce lo hanno mostrato con molta chiarezza don Paolo e i don Gabriele. E se noi ci fidiamo che Lui sia un Padre la cui natura più profonda è l’amore, non possiamo che essere convinti che le vie che Lui ci indica siano vie d’amore, vie nelle quali Lui non ci abbandona, strade per le quali possiamo camminare, faticare, perderci, ma sempre in compagnia di Suo Figlio, uomo come noi e Dio come il Padre, che ha camminato, faticato, si è perso per una regione che forse al tempo non era più periferica dell’Amazzonia di oggi.
Nei versetti del racconto di Matteo che abbiamo ascoltato, Gesù invita noi, suoi discepoli di tutti i tempi e luoghi, a vivere secondo la nuova logica del Vangelo: ardua, paradossale, di chi semina sapendo che tre quarti del suo seme vanno perduti, di chi è consapevole che l’amore di Dio è per tutti, anche per chi fa fatica a corrispondere.
Guardando don Paolo e i don Gabriele pensiamo che loro, pur nella loro multiforme e divertente diversità, abbiano fatto proprio quest’invito, abbiano assunto nella loro carne questa logica che non si finisce mai di imparare. Il seme si getta, si spreca, non si stanno a fare calcoli, proporzioni, non si misurano gli investimenti: ci si consegna e basta.
A titolo esemplificativo vi racconto un episodio che è capitato in una comunità lungo il fiume. Siamo arrivati dopo avere fatto ore di navigazione, dopo aver provato ad ancorare la barca nella melma (impresa tutt’altro che semplice), dopo essere scesi sulla riva del fiume cercando di non sprofondare fino alla caviglia. Lungo il Rio ci si deve abituare al caldo quasi insopportabile del giorno e al fresco della notte, si vive in pochi metri quadrati, cercando di non cadere nelle sue acque maleodoranti e tentando si sopravvivere al piranha che cerca di ucciderti anche da morto (ha una quantità di lische che, se non si sta attenti, si soffoca in un attimo). Superato tutto ciò, si arriva nella comunità per la messa mensile e ci si aspetterebbe il pienone, tutte le famiglie ad attendere l’arrivo del sacerdote che si fa vicino, annuncia la Parola e spezza il Pane eucaristico. E invece no, in quella comunità non c’era nessuno: solo una ragazza che ci ha avvertiti del fatto che tutti in quel momento erano in città perché c’era stato il comizio del candidato sindaco. Davanti a questa situazione verrebbe da rimanere delusi, arrabbiati, amareggiati. Ma questi non possono essere i sentimenti che accompagnano l’agire del cristiano: se si agisce con la calcolatrice in tasca, bilanciando al millimetro energie investite e profitti ottenuti, ecco che il risultato risulta impietoso. Ma questi calcoli sono le catene della Chiesa e di ciascuno di noi, non la rendono libera, perché noi impariamo dal nostro Signore ad essere liberi, ci facciamo insegnare dal seminatore della parabola che tre quarti del seme va sprecato, cade su un terreno che non frutta. Eppure il seminatore con liberalità e prodigalità continua a gettare il seme senza l’ansia di vederlo fruttificare nella misura pari all’investimento fatto (non siamo un’azienda), ma per la gioia stessa del seminare i germi del Vangelo. Si impara a servire e ad amare la Chiesa del granello di senapa che, come riporta la parabola, è il più piccolo tra i semi del campo. Eppure già in questo seme piccolissimo sta tutta la potenza e la forza del Regno.
Se dovessimo fare un’estrema sintesi dell’esperienza che la Chiesa in Amazzonia ci ha lasciato, diremmo (come anticipato anche dagli interventi precedenti) che ci ha colpito il mettere la propria vita nelle mani di Dio con libertà, amando come Lui ama, vivendo come Lui vive. È questo il grande vantaggio che guadagniamo quando lasciamo da parte i conti così umani e proviamo a vivere un briciolo di quell’amore che il Signore per primo ha riversato su di no: imparando ad amare gratuitamente, senza riserve, iniziamo a vivere della vita stessa di Dio, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, della sua misura, che diventano il nostro modo di pensare, amare, misurare.
Se dovessimo fare un’estrema sintesi delle nostre tre settimane, diremmo che questo è il dono più bello della Chiesa dell’Amazzonia: ci ha ricordato com’è la vita del Signore e, sopratutto, il fatto che noi già qui, nella nostra vita quotidiana e feriale, la possiamo vivere. La vita stessa di Dio non è qualcosa di lontano, ma uno stile che riceviamo in dono e che possiamo scegliere di accogliere allo spuntare di ogni giorno.
Concludo il mio intervento raccontandovi un episodio che ci ha riferito don Carlotti, successo poco tempo fa. Un giorno si presentò a casa di Moises (il ministro della Parola e dell’Eucarestia che ordinariamente guida la barca Sempre encontrando) il figlio del sindaco di Sant’Antonio con alcuni suoi collaboratori. Egli era stato ammonito nella predicazione e nell’incontro con le comunità fluviali da don Gabriele per le sue pratiche di ricerca dell’oro nel Rio Içà che, rilasciando mercurio, avvelenano l’acqua e provocano una moria di pesci. Ebbene, quest’impresario del fiume, che non è certo un esempio di coraggio, andò da Moises ammonendolo: “Di’ al tuo prete che la sua vita vale meno della mia barca”. Moises, temendo però una reazione di paura da parte di don Gabriele e una conseguente rimodulazione della sua presenza lungo il fiume, pensò di rimanere zitto, senza riferirgli nulla. Proprio per questo il don non rimase in silenzio sulla situazione di inquinamento dell’acqua fluviale, ragion per cui un giorno, mentre stavano navigando, un battello abbordò la piccola nave della parrocchia e salirono a bordo coloro che avevano minacciato Moises, ripetendo l’avvertimento, questa volta direttamente in faccia a don Gabriele. Egli però ci ha riferito di come in quel momento si fossero perse le tracce del suo conducente della barca, che non si sapeva dove si fosse nascosto. Forse era scappato? Quando il cercatore dell’oro del fiume se ne fu andato, Moises riapparse, scendendo dal tetto dell’imbarcazione armato di un possente bastone e rivelando a Carlotti di come si era appostato, pronto ad intervenire nel caso ve ne fosse stato bisogno.
Scosso dall’accaduto, il don chiese spiegazioni sul perché fosse rimasto all’oscuro delle minacce ricevute qualche tempo prima. Come risposta Moises gli disse senza esitazione: “Prete, di che cosa hai paura? Io sono disposto a dare la mia vita per te. Non avere paura.”
Ecco, questa è la logica del Vangelo che fiorisce in Amazzonia.
=> Dove posso provare a vivere nella mia vita questo amore gratuito di Dio, che si dona, getta il seme, senza sperare di ricevere nulla in cambio, se non la gioia stessa per essersi donati? Mi ricordo che il Signore si comporta così anche con me?
Silenzio.
Canone: Ubi caritas et amor
Ubi caritas, Deus ibi est
(Traduzione: Dov’è carità e amore, lì è Dio)
Risonanza di quanto ascoltato e meditato tramite un’invocazione al Padre
Padre Nostro (in lingua portoghese)
Pai Nosso que estais nos Céus,
santificado seja o vosso Nome,
venha a nós o vosso Reino,
seja feita a vossa vontade
assim na terra como no Céu.
O pão nosso de cada dia nos dai hoje,
perdoai-nos as nossas ofensas
assim como nós perdoamos
a quem nos tem ofendido,
e não nos deixeis cair em tentação,
mas livrai-nos do Mal. Amen.
Orazione e benedizione finale
O Dio, che hai fatto buone tutte le cose
perché siano segno della tua sapienza,
aiutaci a raccogliere la lode che sale a te dall’intera creazione,
per dare gloria al tuo nome con tutta la nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Canto finale: Con Te camminerò
Venerdì 4 ottobre 2024, Chiesa di S. Teresa di Gesù Bambino